“Il Padrone” a teatro, recensione
Dal 30 Gennaio all’11 Febbraio, al Teatro Ghione di Roma, va in scena la black comedy Il Padrone (titolo originale L’Ebreo), di Gianni Clementi, con Paola Tiziana Cruciani, Paolo Triestino -attore e regista dello spettacolo- e Bruno Conti. La storia, tragicomica, è ambientata negli anni del dopoguerra, a Roma. A seguito delle leggi razziali, approvate nel 1938, sotto la dittatura nazifascista, due coniugi in età matura, i Consalvi, si trovano a disporre di un consistente patrimonio, che non appartiene loro. Il legittimo proprietario, “Il Padrone”, ebreo, potrebbe essere sopravvissuto e riapparire da un momento all’altro all’uscio della propria casa, oppure non fare mai ritorno. Una commedia spietata, che vanta diverse rappresentazioni e chiavi di lettura e resta a testimonianza della storia Italiana. I protagonisti, Marcello e Immacolata, magistralmente interpretati da Paolo Triestino e Paola Tiziana Cruciani -che recita con un braccio ingessato- incarnano vizi e virtù tipicamente umane. Marcello è spontaneo, mosso da buoni sentimenti, tormentato dalla propria coscienza, mentre si chiede quale fine avrà fatto il legittimo padrone di casa. Immacolata è, invece, un’arrivista e un’abile manipolatrice, pronta a tutto, pur di non rinunciare alla ricchezza acquisita. Il padrone rivive nei racconti degli sposi, come un personaggio via via differente, che s’insinua nelle loro gag. Tra una puntata di “Lascia o raddoppia” e una telefonata con la figlia in viaggio di nozze, tra una colazione intima e una chiacchierata con l’amico “stagnaro” Tito, “Il Padrone” riaffiora. Per Marcello era buono, generoso, costretto da un’insensata guerra a subire chissà quali persecuzioni e torture. La memoria di quest’uomo bussa alla sua coscienza, mentre s’interroga sull’ingiustizia e sulla discutibile legittimità del benessere che da essa gli deriva. All’opposto, per Immacolata, il padrone era un egoista, avido, preoccupato unicamente di salvaguardare il proprio interesse personale, a discapito di chiunque altro. Per lui è un “povero cristiano”, che potrebbe tornare da chissà dove, per lei “non è un cristiano, ma un giudio”. Entrambi i protagonisti proiettano sull’altro da sé, sull’ebreo, rispettivamente le proprie, personali, qualità, o i propri vizi. L’autore gioca con i meccanismi insiti nella psiche. Il Padrone è una commedia nera, divertente, che indaga l’essenza umana, mossa dalle ataviche potenze di eros e thanatos e dall’ avidità. Dialoghi veloci, la scenografia fissa di un salone con ingresso, in cui accade di tutto, musiche gradevoli degli anni ’50, bravi attori che si muovono sul palco rendendo credibile ogni passo, sono gli elementi di successo della pièce in scena al Ghione. Due ore di teatro che durano un lampo. (Miriam Iantaffi)