Il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha annunciato le sue dimissioni. Durante la campagna propagandistica degli ultimi tre mesi, il premier ha trasformato un referendum costituzionale in una sfida personale, minacciando di far crollare il governo in caso di vittoria del NO. Così è stato. Tuttavia, è bene ricordare che il 4 Dicembre 2016 si è votato per la riforma e non alle politiche. Protagonista della sfida era l’Italia intera, non il Presidente del Consiglio. Se la riforma fosse stata scritta e concepita nel rispetto dei valori fondanti della Costituzione, forse la maggioranza avrebbe votato diversamente. Renzi avrebbe potuto prendere atto della volontà popolare di salvaguardare la Carta e andare avanti a governare, per la stabilità politica economica del Paese, fino alle elezioni previste a Febbraio 2018. Ricordiamo che il “nostro” uscente è il primo presidente nella storia della Repubblica Italiana a non essere parlamentare al momento della nomina, ma tale incontrovertibile dato, finora, non è stato oggetto d’interviste né ha suscitato problemi o domande all’interno della leadership di governo. Renzi non è stato eletto dal popolo, si è sostituito a Letta e dal 2013 ad oggi, per lui, la mancata elezione non ha mai rappresentato un ostacolo. Improvvisamente, dopo quasi quattro anni, a seguito della sconfitta referendaria, la volontà popolare di salvaguardare la Carta, diventa -per lui– motivo di dimissioni. Eppure, a livello formale -è bene ricordarlo- se Matteo Renzi ha l’appoggio della maggioranza in Parlamento, non è tenuto a dimettersi. Inoltre, se il suo obiettivo –come dichiarato- è quello di far risparmiare gli Italiani e di “contenere i costi delle istituzioni”, Matteo Renzi dovrebbe tener conto del fatto che ogni elezione costa al nostro martoriato Paese centinaia di milioni di euro. Ogni volta che le Camere vengono sciolte prima dei cinque anni previsti per la durata di una legislatura–scioglimento che accade puntualmente, da che io abbia memoria- i rimborsi elettorali si moltiplicano, per i partiti. Non tutti gli Italiani hanno i mezzi per essere informati, ma Renzi è certamente a conoscenza di tale sistema, perché il suo partito, il Pd, ha beneficiato come tutti gli altri di questo “gioco al raddoppio” che prevede introiti per ogni voto ottenuto -indipendentemente dalle spese sostenute-. Né la legge sui rimborsi elettorali sarebbe cambiata in caso di vittoria del SI!  Bene chiedersi se potrebbe essere questa la ragione per cui le Camere vengono sovente sciolte in anticipo, con crisi continue di governo.  Del resto, è guardando alla struttura economica che possiamo comprendere la sovrastruttura. Sarebbe ora d’ iniziare ad attuare interamente la Costituzione, anche nelle sue norme programmatiche, prima di cambiarla. Ricordiamo infine che la concreta cessazione del finanziamento pubblico ai partiti, prevista dalla riforma Letta (Decreto Legge 28 dicembre 2013, n. 149), avverrà soltanto nel 2017. Per ora, i partiti, continuano a godersi i rimborsi. Il Presidente della Repubblica, S. Mattarella, ha un ruolo fondamentale in questo momento di crisi. Potrebbe infatti decidere di non sciogliere le Camere.  Altra ipotesi possibile è infatti quella di non ricorrere a elezioni anticipate ma a un governo provvisorio, cosiddetto tecnico, sul modello del governo Monti, sebbene i “governi tecnici”  non siano espressione di democrazia. (M.I.)

VignettarenziVignetta di Giancarlo Chiariglione

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