Ottant’anni fa, l’Italia si macchiava di un crimine indelebile: l’approvazione delle leggi razziali, che bandivano tutti gli Ebrei e i cittadini considerati “non ariani” dalle scuole e da diverse attività lavorative, relegandoli prima nei ghetti e, in seguito, nei campi di concentramento nazisti, dove furono imprigionati anche: dissidenti politici, lesbiche, omosessuali, malati di mente, zingari, testimoni di Geova, antinazisti emigrati all’estero e rimpatriati, e delinquenti comuni. La maggioranza degli Italiani dell’epoca rimase indifferente alla dittatura nazifascista e all’Olocausto, ma diversi individui coraggiosi seppero opporsi all’orrore. Le partigiane e i partigiani, ma anche persone comuni, che nel proprio quotidiano, sono state delle eroine e degli eroi sconosciuti e senz’armi, se non quelle dell’intelligenza e del cuore. In occasione della settimana della memoria, vogliamo raccontarvi una storia che parla di olocausto ma al contempo della bellezza e dell’amore di cui siamo capaci noi esseri umani. La vicenda  vide protagonista, nel 1939,  una ragazza diciottenne, cittadina Italiana, di nome Giuliana Coen Camerino, alle prese con il suo esame di maturità, al Liceo Classico Marco Polo, a Venezia. La riportiamo come raccontata da lei stessa:
«Quella mattina entro in classe e assisto alla prima sorpresa. Tutti i banchi sono in fila, come sempre. Ma ce ne sono due in un canto, scostati. Io faccio per sedermi a caso, quando mi arriva alle spalle un professore e mi dice: -No, laggiù per favore!- E indica uno dei banchi messi da parte. Quasi nessuno si accorge di quel che sta accadendo perché c’è il solito trambusto, gli amici cercano di stare insieme, c’è chi cambia idea all’ultimo momento, chi baratta il suo con un altro posto. Alla fine siamo tutti seduti. C’è un attimo di silenzio, finalmente. Ed è in quel momento che, da un banco centrale, si alza un ragazzo. Non è bianco, è un mulatto. Alza la mano, per poter parlare. È il figlio di una principessa eritrea e d’un generale italiano. -Volevo sapere perché quei candidati son tenuti da parte-. Ha una voce sonora, un accento romanesco, ma elegante. Il professore ha un momento d’imbarazzo, ma si riprende. -Sono privatisti-. Il mulatto sorride. -Certo, privatisti. Ma perché sono ebrei, non è vero?-Questa volta l’imbarazzo del professore è più evidente. Il giovane Eritreo non gli dà il tempo di dire una parola. -Se è per una questione di razza, nemmeno io sono ariano, come certo non vi sarà sfuggito. Perciò, con il suo permesso…- Ma non aspetta il permesso di nessuno. Prende l’ultimo banco della fila, che era vuoto, e lo spinge verso i nostri, di lato. Allora accade l’imprevedibile, davvero. Tutta la classe si alza, alcuni mi fanno alzare, prendono anche il mio banco. In un niente la classe è tornata normale: tutti i banchi tornano in tre file, noi siamo con gli altri. Il giovane mulatto, prima di sedersi a sua volta, fa un rigoroso inchino al professore. C’è un attimo di silenzio. L’insegnante è turbato. Si leva gli occhiali, passa una mano sugli occhi. Poi, quasi parlando a se stesso, ma lo sentiamo benissimo dal posto, si lascia scappare un: -Vorrei abbracciarvi tutti quanti-.” Il ragazzo Italo Eritreo della storia si chiama Ludovico Sprocani, detto Vico, e dopo la guerra è diventato un giornalista per “L’Uomo qualunque”. Giuliana Coen Camerino fu promossa all’esame e, in seguito, sopravvisse al rastrellamento dei ghetti e all’olocausto, emigrando con la sua famiglia in Svizzera. Dopo la seconda guerra mondiale, tornata in Italia, divenne una stilista, raggiungendo il successo, con lo pseudonimo di Roberta di Camerino. Una firma ormai famosa ed apprezzata in tutto il mondo. Nel 1956, Giuliana Coen fu premiata con il Neiman Marcus Award –l’equivalente del premio Oscar nella moda-. Nel 2008 ha venduto il proprio marchio. Ha raccontato l’episodio del suo esame in un libro di memorie, intitolato “R come Roberta”. La stilista ha scelto il suo pseudonimo in onore di sua figlia Roberta ed è vissuta felicemente, per oltre novant’anni. (M.I. e D.M.)

Roberta di Camerino con Salvator Dalí, 1974. New York. Foto storica ©Olycom
Articolo 1- All’ufficio di insegnante nelle scuole statali o parastatali, di quailsiasi ordine e grado (…) non potranno essere ammesse persone di razza ebraica. Articolo 2.- Alle scuole di qualsiasi ordine e grado, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere iscritti alunni di razza ebraica. Dal Regio decreto-legge del 5 settembre 1938-XVI. Immagine dell’epoca tratta DA ARCHIVIO STORICO online

 

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