Il Trattato di Dublino sui rifugiati: cos’è, chi l’ha firmato per l’Italia e quali effetti provoca a livello globale
Gli esodi migratori hanno posto al centro delle discussioni dell’opinione pubblica Il Trattato di Dublino. Spieghiamo, in semplici passi, di cosa si tratta, in che modo vincola l’Italia, quali politici Italiani l’hanno in realtà sottoscritto e quali sono le attuali conseguenze di tale scelta a livello nazionale e globale. La Convenzione di Dublino è un trattato internazionale multilaterale. Impegna più Paesi dell’Unione Europea, in tema di diritto di asilo per chi scappa dalla guerra o da persecuzioni politiche tali da non poter tornare al proprio Paese d’origine, temendo per la propria vita. Se, infatti, la Convenzione di Ginevra del 1951 aveva introdotto nel diritto internazionale lo status di “rifugiato”, restava da chiarire come gestire le domande di asilo politico. Il primo trattato di Dublino viene firmato nel 1990, il secondo nel 2003, il terzo nel 2013. Le nazioni Europee determinano quale sia lo stato membro dell’Unione a cui spetta esaminare le domande.
Il migrante può richiedere asilo esclusivamente nel primo Stato Europeo d’ingresso, che diventa responsabile della gestione della domanda. Per ovvie ragioni geografiche, il primo Paese che possa apparire sicuro a un migrante proveniente via mare dall’Africa, è l’Italia. Anche chi desidera dirigersi verso il Nord Europa, sbarca in Italia, ma, a causa del trattato di Dublino, non può proseguire il suo viaggio e, qualora ci riesca, viene in ogni caso rispedito in Italia (primo Paese d’approdo). Chi è al governo nel nostro Paese quando vengono firmati il Trattato di Dublino I, II e III? Nel 1990 abbiamo Andreotti (DC); nel 2003 il trattato viene accettato e sottoscritto dal governo Berlusconi (FI) -appoggiato dalla Lega di Salvini- e nuovamente, nel 2013, viene firmato dal governo Letta (PD). Gli storici partiti di destra e sinistra sono stati responsabili -di fatto- di un trattato internazionale che hanno poi aspramente criticato nelle varie campagne elettorali. In Italia, si fa largo uso del termine rifugiato, in gergo giornalistico, per indicare, genericamente, tutti i migranti, e si confonde spesso tale condizione con quella di richiedente asilo, ma giuridicamente si tratta di due status diversi. Il richiedente asilo sottopone la propria domanda allo Stato Italiano, senza che vi sia certezza alcuna che sussistano gli elementi necessari affinché la domanda venga accettata. Ne consegue un lavoro d’esame da parte di apposite Commissioni territoriali e di una Commissione Nazionale. L’iter può durare anni, a causa delle migliaia di domande pervenute mensilmente e, al termine del lavoro della Commissione, viene, di diritto, riconosciuto al richiedente asilo lo status di rifugiato. In caso contrario, la domanda viene respinta. L’ UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) lamenta che il sistema attuale non è in grado di offrire una protezione adeguata ai richiedenti asilo. Il regolamento è stato anche criticato dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, in quanto ritenuto incapace di garantire i diritti dei rifugiati. Pensiamo a quanti desiderano raggiungere le mete industrializzate del Nord Europa, e si trovano, invece, letteralmente intrappolati nelle baraccopoli del centro e del Sud Italia. Il nostro Paese infatti, non è materialmente in grado di accogliere l’ingente numero di migranti che giungono ogni giorno sulle nostre coste e superano spesso le strutture disponibili. Gli altri stati Europei chiudono le frontiere via mare e via terra, ma d’altro canto spesso non arretrano d’un passo, in merito alle loro politiche aggressive, di guerra, sfruttamento delle risorse e scelte altamente inquinanti che provocano il riscaldamento globale. Tutti fattori che causano l’esodo dall’Africa verso il nostro continente. Tra gli Stati Europei che hanno cercato soluzioni alternative per rispondere all’emergenza sbarchi, spicca senza dubbio la Svezia. Il Paese Scandinavo ha trovato una via diversa per l’accettazione delle domande provenienti dai profughi Siriani, concedendo a chi è in fuga dalla terribile guerra che sta devastando da anni il Paese, di richiedere asilo presso l’Ambasciata Svedese presente in Sudan. Ciò consente alla Svezia di esaminare con calma le domande, limitando l’accesso nel Paese soltanto a chi viene selezionato -previo controllo dei documenti- e può trovare una dignitosa collocazione programmata. D’altro canto, occorre ammettere che chi resta fuori dal sogno scandinavo, vive nell’incubo dei campi profughi in Sudan, ignorati per lo più dai media. Si parla di quote di migranti da distribuire, ma finora il carico maggiore resta sempre all’Italia, e non è stata ancora messa a punto una strategia valida di suddivisione dei richiedenti asilo tra i vari Stati. La Repubblica Ceca, l’Ungheria, la Slovacchia e la Polonia si sono rifiutate di modificare il contenuto degli accordi di Dublino e d’introdurre quote obbligatorie per tutti gli stati membri. C’è da dire che tali Paesi non sono, in ogni caso, mete finali desiderate dai migranti. Neanche l’Italia sarebbe ambita come sistemazione definitiva da tutti i migranti che restano esclusi dal circuito ufficiale dell’accoglienza e che vediamo dormire per le strade delle nostre metropoli o nelle baracche di lamiera, improvvisate nei paesini. A Rosarno, come in altri piccoli comuni del Sud, le baraccopoli dei braccianti sono una realtà incontrollata da parecchi anni.
In molti casi, il nostro Paese viene considerato dai migranti Africani una via di passaggio, ma finisce per diventare, per loro, destino segnato, senza via d’uscita, proprio a causa del Trattato di Dublino. Le conseguenze dell’attuale politica internazionale, per i richiedenti asilo Africani più poveri, si configurano in scarse aspettative di vita. Quando giungono sprovvisti di documenti, diventa arduo stabilire se si tratti realmente di profughi, oppure di migranti economici che cercano di aggirare le barriere all’immigrazione, poste da tutti i Paesi Occidentali. Per l’Italia il tutto si traduce, spesso, a livello economico, in un abbassamento del costo del lavoro, da individuare all’origine delle attuali tensioni sociali. In un Paese come il nostro, in cui non esiste neanche un salario minimo garantito per legge e diversi settori restano esclusi dai contratti collettivi dei sindacati, l’arrivo di una forza lavoro fresca e ricattabile con prezzi al ribasso, genera un abbassamento dei salari, specie dei braccianti e dei lavoratori non protetti. Coloro che non lavorano legalmente, diventano manovalanza da sfruttare “a nero” o finiscono nei circuiti illegali delle mafie e delle tratte. Nonostante la propaganda, i porti della Sicilia continuano ad accogliere settimanalmente migliaia di migranti, recuperati in mare dalle Ong e dalla guardia costiera, su imbarcazioni di fortuna.
Molti dei sopravvissuti tratti in salvo dalla guardia costiera Italiana sono minori non accompagnati, dei quali, purtroppo, spesso, si perdono le tracce, come testimoniano anche i report del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Occorre un impegno politico a livello nazionale e internazionale, per gestire un’emergenza che dura da quasi trent’anni e le cui proporzioni sono andate via via aumentando. (M.I.)
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