Sei “ricchione”? Ti prendi un pugno in faccia!
Stefano ha 21 anni, sta tornando a casa in autobus con un amico, dopo una serata gay in discoteca. Un uomo lo aggredisce verbalmente, chiamandolo “ricchione” e “frocio di merda”, poi gli sferra un pugno in faccia e scende dall’autobus, come se nulla fosse. Chissà quante volte scene simili si ripetono nelle nostre città e quante volte le vittime stanno zitte, per vergogna. Stavolta però il ragazzo aggredito decide di non lasciar passare sotto silenzio la violenza subita ma la racconta sui social network. Riportiamo la sua testimonianza, scritta su fb: “Ho passato una bellissima serata in discoteca. Subito dopo, per tornare a casa, sotto consiglio del mio amico, abbiamo preso il pullman (non prendevo il bus di notte da almeno 5 anni, abitando praticamente in centro ho sempre usufruito del taxi o usato la mia macchina). Mi son ritrovato in un bus pieno di giovani, compresi due ragazzi davanti a me. Sul mezzo ho parlato della fantastica serata con il mio amico. I ragazzi davanti appena capito che eravamo usciti da una serata gay, si girano verso di noi e ci chiedono se fossimo ricchioni. Ovviamente a 21 anni mi ritrovo orgoglioso della mia sessualità e senza farmi tanti problemi, confermo! A quel punto uno si gira verso l’altro ed esclama: -froci di merda!- Io ovviamente penso siano solo parole al vento. Dopo qualche minuto il ragazzo castano scende, mentre il biondino si alza, mi guarda e mi scaraventa un pugno in faccia e come un codardo subito dopo scappa. In quel momento sul bus è calato il silenzio, io stesso son rimasto ghiacciato, non avevo ancora metabolizzato l’aggressione omofoba. Infatti mi giro verso il mio amico e gli chiedo: -ma mi ha tirato un pugno in faccia?- “
Continua, cercando di trovare il lato positivo: “Tutto sommato, ora che ho metabolizzato, mi è andata bene. Per carità, ho uno zigomo più gonfio di Alba Parietti… ed un occhio nero, ma almeno non mi ha rotto il naso. Io non scrivo questo post per elemosinare qualche -mi piace- e commento di consolazione; scrivo questo post per mettere in luce che il problema dell’omofobia esiste ed è visibile a tutti. Vorrei proprio vedere i politici davanti al mio ematoma se hanno ancora il coraggio di affermare che -omofobia è un mezzo, una parola, un modo che le minoranze sessuali hanno per mettere in mostra la propria diversità, per voler apparire a tutti i costi come categoria da tutelare.- Ovviamente non prenderò mai più un bus di notte, io fortunatamente posso permettermi un taxi, ma chi non può? Perché noi omosessuali non possiamo viaggiare sicuri? Perché dobbiamo viaggiare per strada con la paura che qualcuno ci aggredisca? L’ematoma sul mio viso sparirà insieme al gonfiore, ma non potete nemmeno lontanamente capire quanto sia stato umiliante dirlo a mia madre (che si è subito spaventata e giustamente preoccupata) o quanto abbia sofferto nel vedere il mio ragazzo in agitazione. Gli eterosessuali non possono nemmeno lontanamente percepire quanto sia difficile essere gay in Italia. Dall’accettazione personale, al farsi accettare (e spesso i genitori sono i primi a voltarti le spalle)… al vivere giorno per giorno nella società. -Pensavo di appartenere a un altro mondo, ho provato a starci dentro ma non faceva per me. Così ho preso la strada meno percorsa e a mala pena ne sono uscito vivo. Attraverso l’oscurità in qualche modo sono sopravvissuto. Amore duro, lo sapevo fin dall’inizio, giù nel profondo del mio cuore ribelle- -Rebel Heart. In questo momento niente mi rappresenta di più di questa canzone. Il mio amore è un amore duro, ma io andrò avanti nella speranza ed il desiderio che qualcosa cambi, perché noi non siamo animali o persone di secondo ordine e ci meritiamo gli stessi diritti degli altri. La maggior parte delle persone non sono a loro agio con cose o persone che percepiscono come diverse da loro e ci scommetterei che, se spendessimo del tempo per conoscerci l’un l’altro… scopriremmo che, dopo tutto, non siamo così diversi…” Ci auguriamo che altri ragazzi, nella stessa situazione, si sentano incoraggiati a reagire e a parlare pubblicamente delle loro esperienze, perché non dovrebbero essere mai le vittime a doversi vergognare. (M.I.)