Gestione illecita di rifiuti tossici in Basilicata: 60 indagati -tra cui molti insospettabili-
Al momento ci sono 60 indagati sulla gestione del centro Eni di Viggiano, in Basilicata. L’accusa è di gestione illecita di rifiuti tossici. Materiali e liquidi altamente inquinanti e nocivi per il territorio e la salute della popolazione, sarebbero stati fatti passare per “non pericolosi”, in modo da risparmiare, in media, settanta milioni all’anno nello smaltimento dei rifiuti, secondo gli inquirenti. Tra gli indagati nell’inchiesta sul petrolio in Basilicata, oltre ad Eni, l’ex vicesindaco di Corleto Perticara (Potenza), Giambattista Genovese e l’ex dirigente della Regione Basilicata, Salvatore Lambiase. Le agenzie di stampa comunicano che la procura di Potenza ha indagato, per associazione a delinquere, anche il vicepresidente di Confindustria, Ivan Lo Bello, il quale avrebbe proposto la nomina di Alberto Cozzo, commissario straordinario del porto di Augusta (Siracusa), in Sicilia, per esercitare un controllo su più territori. Secondo la ricostruzione dei pubblici ministeri, esisterebbe un vero e proprio clan, composto da: Lo Bello, Gianluca Gemelli -compagno dell’ex ministro Federica Guidi- Nicola Colicchi, Paolo Quinto. Oltre al porto siciliano, l’associazione a delinquere avrebbe messo le mani su altri progetti d’impianti energetici e permessi di ricerca, oltre a sistemi di difesa, in Campania. Paolo Quinto è anche il capo segreteria della senatrice Anna Finocchiaro (Pd), non indagata, mentre Colicchi è componente dell’esecutivo nazionale della Compagnia delle Opere. Entrambi -Quinto e Colicchi- secondo l’inchiesta, avrebbero commesso abuso d’ufficio ed uso improprio delle cariche e degli appoggi politici di cui godevano.
Federica Guidi, ex Ministra dello Sviluppo economico, negli atti dell’inchiesta sul petrolio in Basilicata, risulta quale parte offesa. Il suo compagno, Gianluca Gemelli, indagato anche per corruzione, avrebbe agito senza consultarla ma contando sul suo ruolo politico quale strumento per affari e illeciti. Federica Guidi ha dichiarato d’aver semplicemente informato Gianluca Gemelli in merito a un emendamento, che avrebbe consentito di accelerare i processi autorizzativi di molte opere strategiche, tra cui il progetto Tempa Rossa di Taranto, bloccato da diversi anni. La società di Gemelli, nel frattempo, operava come subappaltatrice in Basilicata. L’Eni ha annunciato di voler ricorrere alla Cassazione, presentando ricorso contro il Tribunale di Potenza, che ha ordinato il sequestro di due vasche del centro oli di Viggiano -dove fino al 31 Marzo venivano prodotti oltre 75.000 barili di petrolio al giorno- e di un pozzo a Montemurro. Tra gli indagati nell’inchiesta –per abuso d’ufficio- anche l’ insospettabile Ammiraglio Giuseppe De Giorgi. Il Capo di Stato Maggiore della Marina Militare Italiana -figlio di Gino De Giorgi, che fu a sua volta capo di Stato Maggiore della Marina Italiana- ha dichiarato di non volersi assolutamente dimettere. Giuseppe De Giorgi è noto per aver gestito l’ operazione Mare Nostrum di soccorso ai migranti ed oltre ad essere indagato per abuso d’ufficio nell’inchiesta sul petrolio in Basilicata, era già stato indagato e rinviato a giudizio nel Dicembre 2015, per un incidente in cui perse la vita un nocchiere di bordo -Alessandro Nasta- precipitato dall’albero maestro sulla nave scuola Amerigo Vespucci. Tornando all’inchiesta sulla gestione dei rifiuti, ricordiamo che già nel 2013, i giornali locali della Basilicata, avevano denunciato come diverse aziende operanti nella regione -e non solo-, scaricassero illegalmente rifiuti tossici nelle terre dei contadini, con conseguenze disastrose sui raccolti e sulla salute di ambiente, umani ed animali. Chiaramente sarà la magistratura –e non la stampa- com’è giusto che sia, a decidere per la colpevolezza o l’innocenza degli indagati nell’attuale inchiesta, ma quanto venuto alla luce non può essere ignorato, né si può considerare scollegato dai risultati elettorali del referendum sulle trivellazioni del 17 Aprile. Non può certo essere un caso che il quorum -per fermare le trivelle, lo ricordiamo, entro le 12 miglia marine, alla scadenza delle concessioni- sia stato raggiunto proprio in Basilicata, regione definita il Texas d’Italia, perché è un’inesauribile riserva petrolifera. Si estraggono proprio là, per lo più tra suggestivi boschi e colline, il 71% del petrolio e il 14% dei gas Italiani. Trentanove pozzi, di cui ben ventisette si trovano in Val d’Agri. Viggiano è stato definito il più ricco comune petrolifero d’Europa. È bene chiedersi come sia possibile che il paesino si trovi proprio in Basilicata, una delle regioni più povere d’Italia. Innanzitutto, le royalties che vengono versate dall’Ente Nazionale Idrocarburi ammontano al 10% -e, fino a sei anni fa, si trattava addirittura del 7%.- La ricchezza di petrolio non viene percepita dai cittadini della Basilicata come un aumento del reddito pro capite, né come indice di benessere, è evidente, altrimenti la maggioranza più uno avrebbe votato diversamente o non si sarebbe recata alle urne. Secondo il nostro Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, abbiamo salvato migliaia di posti di lavoro, con il fallimento del referendum del 17 Aprile. I Lucani, tuttavia, hanno effettuato il loro calcolo costi benefici e hanno lanciato un chiaro segnale, votando in massa contro le trivellazioni e l’industria del petrolio. (M.I.)
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