A un mese dalle stragi di Parigi, ricordiamo le vittime e non i terroristi
Il 7 Febbraio è trascorso già un mese dal giorno in cui due terroristi armati hanno attaccato la sede del giornale satirico Francese Charlie Hebdo. Sono morte dodici persone: il Direttore Charb; Cabu, Tignous, Wolinski, Honorè, vignettisti; Bernard Maris e Elsa Cayat, giornalisti; Michel Renaud, visitatore; Mustapha Ourrad, correttore di bozze e musulmano; Frederic Boisseau, portiere e –last but not least– due poliziotti: Franck Brinsolaro e Ahmed Merabet, musulmano. Il giorno dopo, sempre a Parigi, in un market kosher, sono stati uccisi da un terrorista Isis altri quattro uomini, ebrei, mentre facevano la spesa: Yoav Hattab, Philippe Braham, Yohan Cohen, François-Michel Saad. Uno di loro ha fatto scudo con il suo corpo ad un bambino. A togliergli la vita è stato lo stesso terrorista che a Montrouge, poche ore prima, aveva ucciso una vigilessa: Clarissa Jean-Philippe. Una ragazza di 27 anni, che, con un eroismo fuori dal comune, ha impedito che si compisse l’eccidio di bambini in un asilo ebraico. Non vogliamo ricordare i terroristi, i quali hanno agito in nome di un inferno che promette loro il paradiso. La redazione del Diretto, oggi, ricorda i morti innocenti di quei tragici attentati. Sono loro, per noi, i veri martiri, insieme alle donne e agli uomini giustiziati dai terroristi dell’Isis e alle vittime innocenti di ogni nazionalità e di ogni guerra. Tout est pardonnè ha scritto Luz, vignettista di Charlie Hebdo, il mese scorso, dando vita a un Maometto tra le lacrime. L’ ha immaginato perdonare tutto ai vignettisti, brandendo fra le mani quel “Je suis Charlie” che è ormai divenuto manifesto della libertà d’espressione. Ha disegnato il profeta triste, trasponendo forse nel suo personaggio i propri sentimenti. Luz è scoppiato in lacrime, proprio durante la conferenza stampa indetta per presentare quel numero 1178 della rivista. Tutti abbiamo visto i fogli di giornale bagnarsi con il pianto di chi ha perso amici e colleghi in un attentato. Eppure qualche imam, non dall’Italia ma dal Regno Unito, l’ha accusato, anche per questo disegno, di offendere la religione Islamica. C’è bisogno, dunque -eccome- di ricordare. (M.I.)