La storia di Mirko, un rom di Roma
Mirko gira per la stazione Termini, e per la Tiburtina, cercando di racimolare soldi con l’elemosina e qualche furtarello. Ha sfilato l’orologio di un turista e l’ha venduto a un vecchio per cinque euro, di più non è riuscito a farci. Non ne capisce granché di orologi. Gli hanno insegnato come si riconosce l’oro. Gli adulti lo vanno a vendere, ma anche in quello, lui, non è uno dei migliori. Spesso sbaglia, confondendosi con la bigiotteria, come i bambini di cinque anni e tra gli zingari ha fama di essere un po’ tonto. Eppure non è stupido, anzi, sa contare e fare le operazioni. Mirko ha gli occhi grandi e scuri, ancora neanche un pelo sulla faccia, è uno dei tanti “zingarelli”, invisibili per lo Stato Italiano. Uno di quelli che tutti noi scansiamo, quando si avvicinano alle macchinette della stazione, offrendosi di fare il biglietto al posto nostro. “Puzzi!” Gli strilla il figlio di un turista, suo coetaneo, mentre corre verso un treno in partenza. La sera, quando torna al campo rom, Mirko non ha mai tutti i soldi che hanno gli altri suoi compagni della stazione. “Loro sono più furbi”, pensa, “sanno come trattare i gaggè*”, i non zingari che bazzicano per i binari. Un giorno, un suo amico, di pochi mesi più grande, a Termini, avvicina Mirko e gli chiede se vuole guadagnare dieci euro accompagnando un uomo nei bagni. “Sono proprio fessi questi gaggè” pensa Mirko guardando il cinquantenne grande, grosso e incravattato. “Sono così scemi, che non sanno trovare neanche il bagno da soli in stazione”. Di soldi, pensa, ne hanno talmente tanti che non sanno che farsene. “Ci metto due minuti ad accompagnarlo, guadagno 5 euro al minuto!” Commenta Mirko, sentendosi furbo. Porta l’uomo davanti ai bagni e tende la mano, per avere i dieci euro promessi. “I soldi te li dò dentro, perché qua se tiro fuori il portafogli davanti a tutti, me lo rubano subito!” Risponde il cinquantenne. In effetti, uno così tonto da non sapersi muovere in stazione, e così ben vestito, verrebbe subito derubato, pensa Mirko, che lo segue all’interno del bagno, convinto di prendere i soldi e scappare via subito. L’uomo, però, gli tappa la bocca con le sue mani sporche e grandi, che odorano di dopobarba e Mirko quasi sviene dal dolore. Lui conosce il male delle botte, dei calci, degli schiaffi, ma questo è uno strazio nuovo, che arriva improvviso e insostenibile, a schiacciare il suo piccolo corpo. Si dimena, ma pesa troppo poco per sostenere la lotta e il suo grido soffocato sembra che quell’uomo enorme neanche lo senta. Mirko impara fino a che punto possono essere feroci gli adulti sul corpo di un bambino. Oltre questo c’è soltanto la morte e Mirko pensa di morire. Quando ha finito, “il gaggè” lo libera finalmente dalla presa e il grido impedito del piccolo rom diventa urlo pazzo e disperato nei bagni della stazione. Il cinquantenne gli ficca dieci euro in tasca e se ne va, facendogli segno di stare zitto. Mirko piange e capisce che le grida di un ragazzino zingaro, a Roma, non le ascolta nessuno. Ora che conosce il segreto degli altri ragazzi e ragazze della stazione, continua a fare la loro stessa vita. Lo convincono di non avere scelta. Non racconta cosa deve subire, si vergogna e il dolore diventa il suo lavoro quotidiano. Guadagna dai 10 ai 50 euro ogni volta, a volte anche nulla. Un giorno arriva un prete, con la tonaca. Mirko sa che quelli, per la loro religione, devono aiutare la gente. Pensa che stavolta sarà diverso. Forse quel prete, che ha 68 anni come aveva suo nonno quando è morto pochi anni fa, gli metterà una mano sulla testa e gli darà dei soldi, senza volere niente in cambio dai suoi tredici anni appena compiuti. Quel prete con la tonaca, però, non è diverso dagli altri uomini della stazione e non dà niente per niente. Dopo di lui arrivano altri laici, altri preti e altro dolore a straziare il corpo esile e glabro di Mirko. Mani callose di operai, mani lisce di sacerdoti o di professionisti, giorno dopo giorno, gli tappano la bocca in un dolore muto. Le telecamere della stazione, intanto, riprendono tutto quel traffico fuori dai bagni e dai binari e arriva il giorno in cui la polizia arresta i preti, gli operai e i professionisti che sfruttano i minori. L’incubo di Mirko, delle sue amiche e dei suoi amici violati nelle stazioni di Roma, finalmente, finisce. L’anima del piccolo rom trattiene le ferite del giorno in cui ha scoperto di non essere furbo come credeva ma finalmente il suo corpo è libero dai mostri. Il suo nome è di fantasia, la sua storia di abusi è invece cronaca di Roma. Cronaca che la città cercherò di rimuovere in fretta dalla memoria collettiva. (M.I.)
*”Gaggè” è la parola che, nel linguaggio dei rom, definisce tutti i non zingari.