Le note che curano: gli effetti della musica sul nostro organismo
Da secoli, la musica ricopre diversi ruoli, in ogni cultura, ed è espressione di stati d’animo e caratteristiche dei popoli. Ogni strumento -che sia violino, clarinetto, pianoforte o batteria, tanto per citare fiati, corde e percussioni- riesce a toccare l’area emozionale del cervello e, soprattutto per tale ragione va apprezzato, in una società come la nostra, in cui le emozioni sono spesso represse o affievolite, a causa dei troppi stimoli ambientali a cui siamo sottoposti, tra i quali l’inquinamento acustico. Chi -come me- vive in città e subisce i bombardamenti continui di negozi, traffico e motori, sa bene di cosa si parli e non conosce quotidianamente il silenzio o il cosiddetto “suono benefico e positivo della natura”. In Africa, dove l’uomo, pur tra mille problemi, mantiene ancora un contatto con la Terra, lo strumento musicale più utilizzato è il tamburo, o djembe, che, sebbene in apparenza offra meno possibilità di un pianoforte o di un violino, è in grado di produrre effetti unici su chi lo suona e sugli ascoltatori. Consente di utilizzare schemi ritmici brevi e diversi da quelli ai quali noi occidentali siamo abituati. Se i djembe vengono suonati contemporaneamente da diversi percussionisti, in grado di armonizzarsi tra loro, danno vita a melodie polifoniche, in grado di suscitare profondo benessere in chi le suona, le balla, o semplicemente le ascolta. Le concatenazioni di ritmi non sono un semplice “accompagnamento” per strumenti più complessi. La musica, a differenza di altre forme d’arte, agisce in modo rapido e diretto sul nostro organismo e quella tribale, specie dal vivo, arriva immediata.
L’emisfero sinistro del cervello raccoglie dati relativi a timbri, ritmi e altezze della musica. L’emisfero destro –invece- percepisce la melodia nel suo insieme e al contempo è legato alle emozioni. Per tale ragione, molti si sono risvegliati dal coma, ascoltando un cd con le loro canzoni preferite. Rolando Benenzon, il medico Argentino che ha fondato la musicoterapia, ha dimostrato che la musica ha un potere terapeutico indiscutibile ed è in grado di far regredire perfino l’autismo. I bambini autistici svilupperebbero, attraverso il suono, un canale alternativo di comunicazione, diventando meno aggressivi e lasciandosi avvicinare. Negli ospedali più all’avanguardia di Londra, i pazienti sottoposti ad interventi di anestesia locale, possono ascoltare musica a propria scelta ed il risultato sarebbe un miglior decorso post operatorio. Un motivo veloce aumenta il ritmo della respirazione, mentre un motivo molto lento riduce il battito cardiaco accelerato e ha il potere di rilassare l’intero organismo. A parere degli esperti, il momento migliore per apprendere uno strumento è l’infanzia, possibilmente entro i 10 anni. In tale periodo, la musica avrebbe il potere di aumentare al massimo capacità logiche e di analisi, oltre a creatività e sensibilità delle bambine e dei bambini. Un consiglio davvero spassionato per i genitori: lasciate che siano i vostri figli a scegliere quale strumento suonare. Non imponete loro i vostri gusti e non giudicateli severamente se sono diversi da voi. Infine, anche da adulti, dobbiamo riuscire a ritagliarci -tra i vari impegni- dei momenti dedicati al nostro benessere psicofisico, per suonare o ascoltare la musica in grado di suscitare in noi le emozioni sane o il relax di cui abbiamo bisogno. (M.I.)