White rabbit red rabbit a teatro: un’esperienza unica
Dopo aver visto White Rabbit Red Rabbit, interpretato da Elena di Cioccio, c’è un nome nella nostra mente, tanto difficile da dimenticare quanto da pronunciare per la prima volta: Nassim Soleimanpour. L’autore ha scritto il testo nel 2010, mentre doveva sottostare al divieto di lasciare il suo Paese, l’Iran. Dal 2011, lo spettacolo sta girando il mondo. Ogni volta un’unica rappresentazione per attore/attrice. Irripetibile, come soltanto i fatti della vita sanno essere. Mai, forse, prima d’ora, un autore si era trasformato in un tale -e incredibile- burattinaio, senza neanche presenziare alla messa in scena di una sua drammaturgia. Nassim muove da lontano migliaia di fili, sparsi nel mondo: interpretazioni della sua opera, tradotta ormai in venticinque lingue. Un gioco straordinario di creatività e al contempo ingegno produttivo. L’attore, o l’attrice che sceglie di portarlo in scena, accetta la sfida senza leggere il testo prima di salire sul palco, senza mai averlo visto a teatro. Senza paura di mettersi in gioco totalmente. Il giorno dello spettacolo, gli/le viene consegnata una busta sigillata, dalla quale estrae i contenuti, che deve trasmettere al pubblico. Non ci saranno repliche. Le parole di Nassim arrivano agli spettatori, filtrate ogni volta da menti e corpi differenti. Nessun attore o attrice ha la stessa energia di un altro e se ciò è vero per qualsiasi spettacolo, lo è ancora di più per White Rabbit Red Rabbit. Perché chi recita non ha il tempo di costruire il personaggio. Deve improvvisare, passando al pubblico la propria emozione unica, leggendo il testo e restando fedele alle indicazioni di Nassim. Un esperimento sociale, artistico e produttivo notevole. Assolutamente riuscito. Elena di Cioccio lo ha portato a Roma, con la produzione 369 gradi, nel contesto semi nascosto dell’Angelo Mai, facendo registrare il tutto esaurito. Ha trascinato il pubblico nel suo viaggio emozionale, è riuscita a diventare Nassim sul palco, a fare suo il vissuto di un altro da sé, sebbene senza averlo prima “provato”. Le chiediamo se ha avuto paura, in scena. “Non lo saprete mai” risponde l’attrice sorridendo, dopo la sua performance. Potremmo svelarvi la trama, mostrarvi i video, i contenuti dello spettacolo. Non lo faremo. Non soltanto perché ci viene chiesto di non farlo. Non lo faremo soprattutto perché non vogliamo interrompere l’incanto di coniglio bianco coniglio rosso, né alterare il sogno dell’autore, ma consentirvi -se ne avrete occasione- di diventarne parte. Perché, sebbene l’arte, talvolta, sia assenza di regole, la regola del mistero è un tratto distintivo e imprescindibile di quest’esperienza teatrale. Perché il bello è proprio andare a vedere lo spettacolo senza saperne nulla. Perché in un’epoca in cui i reality hanno preso il sopravvento in ogni dove nel mondo, trascinandoci, talvolta, nel vuoto assoluto del finto vero o del vero finto, che amplifica e al contempo sa nullificare i sentimenti, invertendo realtà e finzione senza che riusciamo a comprenderlo, white rabbit red rabbit ci serve. Ci trascina in una dimensione narrativa e scenica che non è mai stata più vera. (M.I.)
Recensione e foto di Miriam Iantaffi
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