20 Ottobre 2014
Policlinico Umberto I di Roma 2014: tra degrado e lunghe attese
Articolo e foto di M.I.
Abbiamo deciso di seguire passo passo, per un mese, l’iter di un contribuente che, suo malgrado, per motivi di salute, si trovi ad avere a che fare con il servizio sanitario nazionale. Il Policlinico Umberto Primo di Roma non gode certo di una buona fama, ma sarà davvero così inefficiente? Per scoprirlo abbiamo seguito il caso di una paziente che si è recata proprio al Pronto Soccorso del Policlinico. Lisa, 69 anni, ha una protesi al ginocchio ed è caduta, battendo violentemente la spalla, come dimostrano tutte le escoriazioni ben visibili sul suo corpo. Non grida, ma lamenta un insopportabile dolore, è bianca in volto e sembra stia per svenire. Per questo viene posizionata su una barella. Sono le ore 18, le sei del pomeriggio del 30 Settembre 2014, la donna non ha ancora fatto l’accettazione e il Pronto Soccorso è colmo di persone di ogni età che si muovono in modo scomposto. All’ingresso c’è un usciere, vestito con pantaloni neri e camicia bianca, non è un sanitario. La figlia di Lisa gli chiede dove deve andare per fare l’accettazione e l’usciere le risponde di chiedere chi è l’ultimo in fila. La ragazza, basita, risponde:
“Come dal panettiere? Anzi no… Dal panettiere c’è il numero, qui non c’è?”
“No, non c’è alcun numero”, le viene risposto. La ragazza esegue dunque le direttive dell’usciere e dopo circa una mezz’ora arriva un infermiere che dà un’occhiata ai pazienti e visita sbrigativamente Lisa, ma non le assegna alcun codice. Le fa passare davanti delle ragazze giovani, arrivate dopo di lei, per fare l’accettazione. Non vogliamo assolutamente ipotizzare che le conosca, probabilmente pensa che siano più gravi, anche se loro riescono a camminare sulle proprie gambe ed hanno la forza di chiacchierare mentre aspettano di entrare dall’infermiera preposta ad assegnare il codice. Dopo circa 40 minuti di attesa, Lisa riesce a fare l’accettazione con un’infermiera e le viene assegnato un codice verde: il suo caso non è grave. Gli infermieri portano la sua barella nel corridoio antistante la sala d’attesa. Sono le ore 19, è già trascorsa un’ora dal suo ingresso al pronto soccorso e intorno a Lisa ci sono altre decine e decine di barelle. Un ragazzetto visibilmente stressato, Mario, afferma di essere là con suo nonno dalle 8 della mattina, “mi sembra d’impazzire, sto aspettando da 11 ore”, dice. Un’infermiera, pressata da alcuni parenti dei pazienti che richiedono attenzioni, sbotta e sbraita che ci sono soltanto due dottori ogni 75 pazienti e che questi ultimi -i pazienti- devono essere tali e avere pazienza. Battuta intramontabile che, però, date le condizioni precarie dell’ospedale, non fa ridere nessuno. Si fanno le 20, la gente continua ad arrivare e la sala d’attesa si trasforma in un Lazzaretto senza età: bambini, adulti, adolescenti, anziani. Tutti mischiati nell’attesa, mentre la notte cala sulle miserie dell’ospedale. Una donna grida, ripetutamente, tutti temono per la sua salute e viene fatta passare avanti. Lisa resta in silenzio, sempre più bianca, sempre più stanca, non ha la forza neanche di urlare e la sua barella attaccata alla parete sembra essere un affare che non riguarda nessuno, tranne lei e la sua famiglia, tra quelle mura sporche e distratte. Sua figlia non l’abbandona e chiede, continua a chiedere alle infermiere quando arriverà il momento per sua madre di fare la lastra. Finalmente, dopo una lunga attesa, Lisa viene portata in ortopedia e là la attende un’altra sala d’attesa, come in un lungo Purgatorio. Le passano davanti i bambini, a detta delle loro mamme non c’è l’ortopedico al pronto soccorso pediatrico. Nel frattempo arriva la pizza in reparto, per il personale sanitario affamato.
La donna che prima gridava ed è passata avanti a tutti ha già fatto le lastre e può uscire, non aveva nulla di rotto e va via sulle proprie gambe sorridendo al fidanzato, mentre Lisa è sempre più esausta, sulla sua barella. Quando l’ultima bambina è entrata, finalmente arriva il turno anche per la nostra Lisa di fare la lastra. Le viene riscontrata una seria frattura alla spalla destra, con varie escoriazioni, contusioni e dolori alle ginocchia, uno dei quali già operati. L’infermiera dice che bisogna bendare e immobilizzare la spalla rotta. Le passano però avanti un altro paio di persone, dopodiché Lisa, finalmente, entra e le fanno un bendaggio Desault. In tempo in tempo, perché arrivano altri casi urgenti e persino un neonato… Se Lisa non fosse già dentro per il bendaggio, chissà quando l’avrebbero immobilizzata, con rischio di scomposizione della frattura e rischio operazione. Le rilasciano dei fogli, che la invitano a presentarsi in data 6 Ottobre alle ore 8 presso la Clinica Ortopedica Universitaria La Sapienza, in Piazzale Aldo Moro 3, munita di impegnativa del medico di base per visita ortopedica e seconda impegnativa per controllo radiografico. Lisa esce dall’ Ospedale a mezzanotte e mezza, che è già Ottobre, sono trascorse ben sei ore e mezza dal momento del suo arrivo. Cinque giorni dopo, alle ore otto del 6 Ottobre, Lisa e sua figlia sono puntuali, agli sportelli, munite di impegnative. Il medico di base di Lisa però, per una distrazione, ha sbagliato e scritto ORL invece di "Ortopedico" per frattura spalla dx. La sigla ORL corrisponde ad otorinolaringoiatra. La figlia di Lisa deve aspettare che arrivino i medici, alle ore 9.15, per farsi rifare là in clinica un’impegnativa, presentando il verbale di pronto soccorso che le è stato rilasciato una settimana prima. Un medico sui 50/60 anni inizia a sbraitare come un pazzo contro la figlia di Lisa, dice che non può sprecare fogli di impegnativa per un suo errore, perché lei doveva controllare e accorgersi che la sigla era sbagliata. La ragazza risponde che lei non è un medico, ma il dottore urla ancora di più, le dice che deve telefonare al medico di base davanti a lui per dirgli che deve andargli a prendere delle nuove impegnative vuote, che gli servono! Non smette di gridare. La ragazza teme per sua madre, rimasta sola in sala d’aspetto, nell’altra stanza, con tutto il suo dolore. Finalmente il medico, dopo una lunga e animata polemica, le riscrive l’impegnativa. La ragazza torna agli sportelli, dove deve affrontare le ire di una signora che non vuole farla passare assolutamente, sebbene sia stato l’addetto allo sportello a dirle che, avendo già fatto la fila, sarebbe potuta tornare con l’impegnativa senza sottoporsi a una nuova fila. Paga il ticket per sua madre: 66.50 euro tra lastra e visita. Davanti alla clinica non c’è un parcheggio e le viene detto di spostare la macchina, così la ragazza lascia tutte le ricevute a sua madre ed esce fuori in cerca di un parcheggio blu (non ce ne sono altri, davanti alla clinica). Torna, sua madre è sempre in sala d’attesa. Finalmente la chiamano, la visita un ragazzo che non dimostra più di 25 anni, vestito di verde, senza tesserino. Si spostano dunque verso la sala radiografie per fare la lastra. Anche là un lazzaretto di malati in attesa in una struttura fatiscente e sporca. Lisa viene accompagnata al bagno dalla figlia: tutto pieno di rugine, senza sapone, senza carta igienica. Fuori, sul retro del reparto di ortopedia, stanze fatiscenti con immondizia e piume di piccione, sedie rotte e rifiuti a cielo aperto. Finalmente le fanno la lastra e con questa deve tornare a farsi visitare dall’ortopedico. Lisa sta per svenire, sua figlia le procura una sedia, le dà un succo di frutta. La visita un ragazzetto vestito di verde, che sembra ancora più giovane di quello che l’ha visitata prima. Dice di essere un dottore comunque e le fa un sacco di domande. Lisa risponde e lui scrive, ma poi la nostra povera malata si accorge che quella non è la sua cartellina: è la cartellina della signora T.! Il ragazzo si accorge dell’errore ma non si vergogna del fatto che quella nonnina di sessantanove anni sia più sveglia di lui. Cancella tutto e dice “menomale che se n’è accorta signora” e prende la cartellina giusta, quella di Lisa. Tutto a posto, le dice. La ragazza lo guarda scettica e lui chiama “il Professore”, il quale sbrigativo, in trenta secondi, afferma che c’è da fare un rinforzo alla Desault (il bendaggio pesante con il quale la signora è immobilizzata). Se ne vanno. Lisa resta sola nella stanzetta, fuori si sentono varie urla. Dopo qualche mezz’ora la figlia di Lisa chiede educatamente a un medico sulla 50/60ina, quando faranno questo rinforzo alla madre. Lui inizia a sbraitare che c’è un solo infermiere per 64 pazienti, aggredisce la ragazza come se il disservizio fosse dovuto a una negligenza dei pazienti! Il ragazzetto vestito di verde, lo stesso di prima, torna, armato di buona volontà, attacca due cerottini sul bendaggio Desault come rinforzo e dà a Lisa un promemoria, dove c’è scritto che deve tornare là dopo dieci giorni munita di impegnative per un’altra visita ortopedica, una rimozione immobilizzazione e un controllo rx della spalla. La donna e sua figlia restano interdette di fronte all’ipotesi di tornare in quell’ambulatorio di nuovo. La ragazza chiede al dottore di riavere la cartella medica perché vuole portare sua madre da un’altra parte. Le viene detto che deve pagare venti euro agli sportelli e devono passare altri venti giorni prima che possa avere la cartella clinica, quindi non le conviene. Inoltre sono le ore 13.30. Gli sportelli per pagare sono già chiusi.
Lisa e sua figlia chiedono al ragazzo vestito di verde di riavere almeno il dischetto con la lastra, che hanno pagato. Lui dice che non può darglielo. Lisa insiste, ha pagato regolarmente il ticket per questa prestazione sanitaria -rx spalla- , e non capisce perché non possa ritirarla prima di venti giorni, dato che è già pronta e perché non possa ritirarla senza pagare ulteriori venti euro. Tuttavia sono quasi le due del pomeriggio, sono trascorse quasi sei ore e la stanchezza prende il sopravvento, Lisa ha dolore e si sente svenire, non ha le forze per discutere ancora e chiede a sua figlia di tornare a casa. Escono dall’ambulatorio sei ore dopo essere arrivata e Lisa deve attendere seduta su un muretto che sua figlia vada a riprendere la macchina. La ragazza paga regolarmente il parcheggio blu e torna a prendere sua madre. Appena a casa, dopo aver fatto pranzare la madre malata, la ragazza telefona al Cup, con impegnative alla mano, per prenotare una visita altrove, non volendo tornare assolutamente alla clinica di Piazzale Aldo Moro. Le viene detto che non ha alternativa: là hanno iniziato e là deve continuare, in ogni caso non ce la farebbe mai con i tempi a prenotare altrove e loro hanno già le lastre. Lisa è costretta dunque a tornare nella stessa struttura. Le viene fissato un appuntamento per le nove di oggi. Stavolta però sa che deve andare prima dell’appuntamento prefissato e si presenta agli sportelli alle ore 7 del mattino, in tal modo quando aprono, alle nove, può essere la prima. Toglie il bendaggio e il suo braccio e il suo seno sono neri, pieni di escoriazioni, ferite dovute alla fasciatura stretta e alle temperature ancora alte. Il medico non prescrive neanche una crema, non spiega cosa debba fare la paziente per alleviare quelle ferite. L’infermiere le mette il tutore -che Lisa ha acquistato con i propri soldi- e, per oggi, è finita…Ma anche l’ultimo controllo dovrà necessariamente farlo nella stessa struttura, per via dei tempi.