1 Settembre 2015
di Miriam Iantaffi
Il Jobs Act, finora, nonostante le buone intenzioni, sembra avere di anglosassone soprattutto il nome. Manca ancora, in Italia, l’istituzione di un salario orario minimo garantito ai lavoratori per legge, come avviene in Inghilterra, Australia, Stati Uniti e Canada, tanto per citare delle nazioni anglofone, dove il minimum wage (salario minimo, solitamente orario) è legge da tempo. Vero è che in Italia gli stipendi sono, in diversi ambiti, regolati dai contratti collettivi di lavoro, ma molti settori produttivi non rientrano nelle tipologie interessate dai suddetti contratti. Non tutte le categorie di lavoratori sono di fatto rappresentate dai sindacati. In ambito privato, l'assenza di regole chiare -che impongano un tetto minimo salariale- abbassa la qualità della vita in Italia. L'economia internazionale spinge il nostro governo a una serie di decreti che portino il Paese al livello degli altri stati dell'Unione Europea, per quanto concerne il mercato del lavoro. In Germania il salario orario minimo è di 8,50 euro e nessuno può essere pagato di meno. In Francia 9,61 euro; in Gran Bretagna, il salario orario minimo nazionale è di 6,70 pounds per chi ha più di 21 anni, £5.30 tra i 18 e i 21, £3.87 per i minorenni. In Irlanda il salario minimo per gli adulti è di 8,65 euro; in Belgio va dagli 8,94 minimo per gli adulti ai 6,10 per i sedicenni. Le singole regioni all'interno di una nazione possono stabilire un salario minimo più alto di quello nazionale ma non più basso. Negli Usa, dove il minimum wage è di 7,25 dollari orari, ben 29 stati lo hanno stabilito più alto. In Canada, uno dei paesi dove ho lavorato, il salario orario minimo garantito per legge varia, a seconda delle regioni, tra i 10 e gli 11 dollari e il costo della vita non è più alto che da noi. In Australia il minimum wage è di ben 17,29 dollari orari. Anche da noi è necessaria l’introduzione di un salario orario minimo, se vogliamo progredire e migliorare la qualità della vita della popolazione Italiana. Tuttavia, la questione va affrontata in parallelo al ridimensionamento della burocrazia e della pressione fiscale sulle imprese, altrimenti si rischia di farle chiudere, con danni per l'economia del nostro Paese.
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